IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 12164  del  2014,  proposto  da:  Claudio  Gorelli,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco  Di  Lullo,  Mario  Sanino;
Paola Salvatore, con domicilio eletto presso  lo  Studio  legale  del
medesimo avv. Sanino in Roma, viale Parioli, 180; 
    Contro Corte dei conti e Segretariato Generale  della  Corte  dei
conti, rappresentati e  difesi  per  legge  dall'Avvocatura  Generale
dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;  Presidenza
del Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle  finanze,
non costituiti in giudizio; 
    Per l'annullamento  del  provvedimento  adottato  dal  Segretario
Generale della Corte dei conti con  nota  prot.  n.  0003362  del  18
luglio 2014 con la quale e' stato preannunciato che, a decorrere  dal
mese di agosto 2014, il trattamento in godimento quale magistrato con
la qualifica di Consigliere dei ruoli della stessa  Corte  dei  conti
sarebbe stato decurtato della somma pari  a  euro  65.445,  43,  come
attestato dalla scheda contabile allegata allo stesso provvedimento; 
        di  ogni  altro  atto  annesso,  connesso,  presupposto   e/o
consequenziale 
    nonche' per la declaratoria 
        del  diritto  al   trattamento   retributivo   e   a   quello
pensionistico spettanti senza applicazione delle decurtazioni di  cui
all'art. 1, comma 489, legge 27 dicembre 2013 n. 147 e ss.mm. 
    nonche' per la condanna 
        dell'Amministrazione al versamento e alla restituzione  delle
somme nelle more illegittimamente trattenute e recuperate, 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Corte dei conti  e
del Segretariato Generale della Corte dei conti; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  25  febbraio  2015  il
dott. Raffaello Sestini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto: 
    1. Che con il ricorso in epigrafe,  proposto  da  un  consigliere
della Corte dei conti nominato dal Governo ai sensi dell'art.  7  del
r.d. n. 1214 del 1934,  del  provvedimento  adottato  dal  Segretario
Generale della Corte dei conti con  nota  prot.  n.  0003362  del  18
luglio 2014 con la quale e' stato preannunciato che, a decorrere  dal
mese di agosto 2014, il trattamento in godimento quale magistrato con
la qualifica di Consigliere dei ruoli della stessa Corte  dei  conti,
sarebbe stato decurtato della somma  pari  a  euro  65.  445,43  come
attestato dalla scheda contabile allegata allo stesso  provvedimento,
unitamente ad  ogni  altro  atto  annesso,  connesso,  presupposto  o
consequenziale. 
    Il  ricorrente  chiede  inoltre  l'accertamento  del  diritto   a
percepire, nella loro interezza, gli emolumenti connessi al  servizio
prestato come magistrato della Corte dei conti, nonche' al versamento
dei relativi contributi previdenziali e degli accantonamenti  per  il
trattamento di fine  servizio  (TFS),  con  la  conseguente  condanna
dell'Amministrazione al versamento ed alla restituzione  delle  somme
nelle more indebitamente trattenute; 
    2. Che il contenzioso in esame concerne  la  vicenda  applicativa
conseguente  all'adozione  dell'art.  23-ter  del   decreto-legge   6
dicembre 2011, n. 201, convertito, con  modificazioni,  in  legge  22
dicembre 2011, n.  214,  il  quale  stabilisce,  al  comma  1,  primo
periodo, che "con decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri,
previo  parere  delle  competenti  Commissioni  parlamentari,   entro
novanta giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione  del  presente  decreto,  e'  definito   il   trattamento
economico annuo onnicomprensivo di chiunque  riceva  a  carico  delle
finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito  di  rapporti
di  lavoro  dipendente  o  autonomo  con  pubbliche   amministrazioni
statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n.  165,  e  successive  modificazioni,  ivi  incluso  il
personale in regime di diritto pubblico di  cui  all'articolo  3  del
medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni,  stabilendo
come parametro massimo di riferimento il  trattamento  economico  del
primo presidente della Corte di cassazione"; 
    3. Che, in attuazione della citata  disposizione,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha adottato il decreto 23 marzo 2012  che,
all'art. 3, stabilisce che "a decorrere dall'entrata  in  vigore  del
presente decreto, il trattamento retributivo  percepito  annualmente,
comprese le indennita' e le  voci  accessorie  nonche'  le  eventuali
remunerazioni per  incarichi  ulteriori  o  consulenze  conferiti  da
amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza [...] non
puo' superare il trattamento economico annuale complessivo  spettante
per la carica al Primo Presidente della  Corte  di  cassazione,  pari
nell'anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora  superiore,  si  riduce  al
predetto limite". 
    Successivamente, l'art. 1, comma 489,  della  legge  27  dicembre
2013,  n.  147,  ha  previsto  che  "ai  soggetti  gia'  titolari  di
trattamenti   pensionistici   erogati   da   gestioni   previdenziali
pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici (...)  non  possono
erogare  trattamenti  economici  onnicomprensivi  che,   sommati   al
trattamento pensionistico, eccedano il limite" e che "Nei trattamenti
pensionistici di cui al presente  comma  sono  compresi  i  vitalizi,
anche conseguenti a funzioni  pubbliche  elettive,  facendo  peraltro
salvi "i contratti e gli incarichi in corso fino alla  loro  naturale
scadenza prevista negli stessi". L'ultimo periodo della  disposizione
prevede che "gli organi costituzionali applicano i principi di cui al
presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti".  Infine,  l'art.
13 del decreto-legge 24 aprile 2014,  n.  66,  ha  stabilito  che  "a
decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo  retributivo  riferito
al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli
23-bis  e  23-ter  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,   n.   201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
e successive modificazioni e integrazioni, e' fissato in euro 240.000
annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e  degli
oneri fiscali a carico del dipendente"; 
    4.  Che  il  ricorrente  afferma  l'illegittimita'   degli   atti
impugnati deducendo i motivi di ricorso di seguito sintetizzati: 
        eccesso  di  potere  sotto  plurimi  profili  sintomatici   e
violazione della normativa di legge di riferimento, e in  particolare
violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del  2013,  non
avendo l'Amministrazione applicato la prevista deroga concernente  "i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza",
nonostante la condizione del ricorrente di pubblico funzionario  gia'
in carica all'entrata in vigore della previsione di legge; 
        la medesima decurtazione della  remunerazione  determinerebbe
altresi' una violazione del  diritto  al  lavoro  e  dell'obbligo  di
retribuzione proporzionata  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
svolto ai sensi degli artt. 4 e 36 Cost. ed un vulnus allo status  di
indipendenza ed autonomia dei magistrati (anche contabili),  protetto
dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., oltre a. violare il  principio
di  irretroattivita'  dei  trattamenti  in  pejus  ed  il   legittimo
affidamento del ricorrente in violazione dell'art. 6  CEDU  e  quindi
dell'art. 117 Cost.; 
        in     via     subordinata,      illegittimita'      derivata
dall'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  489,  della
legge n. 147 del 2013, se interpretato  nel  senso  di  escludere  il
ricorrente dall'ambito della descritta deroga riferita ai  "contratti
e gli incarichi in corso" al  servizio  della  P.A.,  per  violazione
degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6  della
Convenzione  Europea  dei  Diritti  dell'Uomo,  in  ragione   di   un
trattamento irragionevolmente deteriore per il ricorrente rispetto  a
quello  degli  altri  funzionari  e  dipendenti  al  servizio   delle
pubbliche  Amministrazioni,  nonche'  un'irragionevole  lesione   del
legittimo affidamento del ricorrente  stesso  (tutelato  dall'art.  6
CEDU), non giustificato ne' sul piano del  contenimento  della  spesa
pubblica, ne' da altro interesse di pregio costituzionale; 
        ancora  in  via  subordinata,  illegittimita'  costituzionale
dell'art.   1,   comma   489,   della   legge   n.   147   del   2013
(nell'interpretazione datane dalla P.A. resistente),  per  violazione
degli artt. 101, II comma, e 104, I comma,  della  Costituzione,  che
tutelano l'autonomia e  l'indipendenza  della  Magistratura,  valori,
questi, che  verrebbero  irragionevolmente  lesi  dall'ingiustificata
incisione del trattamento economico - e quindi anche  del  credito  e
del   prestigio   sociale    -    dell'esercizio    della    funzione
giurisdizionale; 
        ulteriore illegittimita'  costituzionale  ...  in  quanto  il
meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporterebbe una forte
ed  irragionevole   riduzione,   con   effetto   retroattivo,   della
remunerazione della funzione di consigliere  della  Corte  dei  conti
svolta  dal  ricorrente  e  lederebbe  il  suo  diritto  ed  il   suo
ragionevole  affidamento  ad  una  retribuzione  proporzionata   alla
qualita' e quantita' del lavoro svolto in violazione degli artt. 4  e
36 Cost., del principio di irretroattivita' delle norme incidenti  su
diritti  consolidati  e  dei  fondamentali  principi   costituzionali
comunitari di certezza giuridica e di tutela dell'affidamento. 
    Il limite retributivo e pensionistico di cui  all'art.  1,  comma
489, della legge n. 147 del 2013 precluderebbe  altresi',  del  tutto
irragionevolmente, la possibilita' riconosciuta  dall'ordinamento  al
Governo   di   individuare   alte   professionalita'   e   competenze
amministrative da inserire nella compagine della Corte dei conti,  in
violazione  del  principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione
sancito dall'art. 97 Cost. Infatti, essendo ex art.  7  del  r.d.  n.
1214  del  1934,  riservata  a  coloro  che  hanno  gia'   conseguito
(quantomeno) la qualifica di direttore generale e ispettore  generale
nell'Amministrazione statale (o equivalenti), la nomina a consigliere
della Corte dei conti cade naturaliter  su  persone  che  hanno  gia'
maturato il diritto al trattamento di quiescenza. La disposizione  in
esame  risulterebbe  pertanto  irragionevolmente  contraddittoria  in
violazione  dell'art.  97  Cost.,  penalizzando   e   disincentivando
l'assunzione nei ruoli  della  magistratura  contabile  dei  migliori
curricula disponibili, relativi a  funzionari  che,  inevitabilmente,
sconterebbero i piu' forti  effetti  del  limite  al  cumulo  con  il
trattamento di quiescenza di cui alla disposizione in esame; 
        inoltre, cio' corrisponderebbe all'imposizione di un prelievo
fiscale speciale, illegittimo perche' violativo degli artt.  3  e  53
Cost., e comporterebbe anche una indebita  riduzione  dei  contributi
previdenziali  e,  di  conseguenza,  del  trattamento   pensionistico
derivante dall'accumulo di tale montante contributivo; 
        la  irragionevolezza  della  previsione  normativa  in  esame
sarebbe infine confermata dalla mancata esclusione, ai fini del tetto
massimo degli emolumenti percepibili,  delle  indennita'  integrativa
speciale e giudiziaria di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 e
del contributo di solidarieta' imposto  dall'art.  2,  comma  5,  del
decreto del Presidente del Senato n. 11246 del 2008. 
    5. Che l'Amministrazione intimata si e'  costituita  in  giudizio
per difendere la piena legittimita' e doverosita' del proprio operato
a termini di  legge,  legge  le  cui  disposizioni  vengono  altresi'
argomentatamente ritenute scevre dai  dedotti  vizi  di  legittimita'
costituzionale. 
    6. Che alla camera  di  consiglio  convocata  per  l'esame  della
domanda cautelare il ricorrente ha chiesto il rinvio della  decisione
sulle istanze cautelati alla trattazione del ricorso  nel  merito,  e
che all'esito dell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015  il  ricorso
e' stato quindi introitato dal Collegio per la decisione; 
    7. Che, ai  fini  della  decisione  delle  complesse  e  delicate
questioni  evocate  dal  ricorrente,  il  Collegio   deve   esaminare
partitamente le singole censure,  partendo  da  quelle  (maggiormente
satisfattive dell'interesse  al  bene  della  vita  azionato  con  il
ricorso)  volte  a  far  valere  la  violazione  della  normativa  di
riferimento (essenzialmente, art 1, comma 489 della legge n. 147  del
2013) in quanto non applicabile al caso in esame.  Solo  in  caso  di
mancato accoglimento delle predette censure , si potra'  poi  passare
all'esame della non manifesta infondatezza delle dedotte  censure  di
illegittimita' costituzionale della medesima norma, divenute  in  tal
modo rilevanti nel giudizio a quo, ai fini dell'eventuale  rimessione
della  questione  incidentale   di   costituzionalita'   alla   Corte
Costituzionale, dovendosi infine valutare, solo in  caso  di  mancato
accoglimento di tutte  le  predette  censure  e  della  questione  di
legittimita' costituzionale, e  quindi  di  legittima  applicabilita'
della disciplina in esame, le ulteriori censure concernenti le errate
ed  ingiuste  modalita'  (riferite  ad  esempio  all'estensione  alle
indennita' integrative speciali  e  giudiziarie  ed  al  computo  del
contributo di solidarieta') con cui la norma sarebbe stata applicata. 
    8. Che, con il primo gruppo di motivi  di  gravame  indicati,  il
ricorrente deduce la violazione del citato art. 1, comma  489,  della
legge n. 147 del  2013,  poiche'  la  predetta  norma  sarebbe  stata
illegittimamente applicata al ricorrente sotto il profilo  temporale,
per la mancata applicazione  della  prevista  deroga  concernente  "i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza",
nonostante la sua condizione di pubblico funzionario gia'  in  carica
all'entrata in vigore della nuova previsione di legge. 
    Secondo  il  ricorrente,  infatti,  l'ampiezza  della  previsione
normativa  circa  la  deroga  implica  la  sua  applicazione  sia  ai
contratti e rapporti di lavoro c.d.  "privatizzato",  sia  -come  nel
caso in esame - al pubblico impiego non  privatizzato,  ponendosi  in
evidente parallelismo  con  la  stessa  norma  istitutiva  del  tetto
massimo di cumulo (art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201,  che
ha espressamente esteso l'intera  disciplina  del  tetto  massimo  al
"personale in regime  di  diritto  pubblico").  Inoltre,  il  termine
"incarico" abbraccerebbe qualunque conferimento di compiti  da  parte
dell'Amministrazione,  ivi  compreso  il  conferimento  di   funzioni
nell'ambito di un rapporto di impiego non privatizzato. 
    9. Che,  ai  fini  della  decisione  circa  la  fondatezza  della
predetta  censura,  il  Collegio  osserva  preliminarmente   che   la
previsione normativa introdotta dall'art. 23-ter del decreto-legge n.
201/2011 e rafforzata dalla legge di stabilita' per il 2014 (legge 27
dicembre 2013, n. 147, in  particolare  per  quanto  d'interesse  con
l'art. 1, commi 471 e ss.), cosi'  come  chiarito  dalla  definizione
degli ambiti applicativi della norma risultanti  dalla  circolare  n.
8/2012  del  Ministro  per   la   pubblica   amministrazione   e   la
semplificazione e dalla circolare della Presidenza del Consiglio  dei
ministri n. 3/2014,  e'  volta  a  limitare  la  soglia  massima  dei
trattamenti retributivi e pensionistici che fanno comunque  carico  a
risorse pubbliche, riguardando l'ambito  soggettivo  di  applicazione
del decreto tutti i titolari di  rapporto  di  lavoro  subordinato  o
autonomo con "le pubbliche amministrazioni ", e cio' - in un  sistema
pensionistico  ancora  essenzialmente  retributivo  come  quello  del
ricorrente,  e  quindi  non  legato   ad   uno   specifico   rapporto
sinallagmatico con i contributi versati durante la vita lavorativa  -
non appare ne in contrasto con alcuna  disposizione  dell'ordinamento
ne' irragionevole, a condizione peraltro di  estendere  il  limite  a
tutti i soggetti posti nelle medesime condizioni  sotto  il  predetto
profilo, alla stregua dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    10. Che viene quindi in rilievo la  citata  circolare  n.  3/2014
della Presidenza del Consiglio dei ministri,  che  chiarisce  che  il
nuovo regime limitativo si applica a decorrere dal 1°  gennaio  2014,
limitandosi ad interpretare il dettato normativo gia' in vigore nella
disciplina del contenimento dei  trattamenti  economici  nel  settore
pubblico, mentre l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014,  convertito
con modificazioni dalla legge n. 89/2014, ha  ridotto  ad  €  240.000
annui il limite  massimo  retributivo  lordo  solo  a  decorrere  dal
1.05.2014. Si e' quindi in presenza,  osserva  il  Collegio,  di  una
questione  controversa   concernente   non   una   vera   e   propria
retroattivita' della legge (con tutti i conseguenti divieti e  limiti
costituzionali a tutela della certezza del diritto,  dell'affidamento
e della ragionevolezza del legislatore, ampiamente  affrontati  anche
dalla  Corte  Costituzionale),  bensi'  una  questione   di   diritto
intertemporale connessa all'entrata in vigore della nuova disciplina,
disposta dal legislatore - nell'ambito del legittimo esercizio  della
proprio spazio di discrezionalita' riconosciuto dalla  giurisprudenza
costituzionale, senza la previsione di un periodo transitorio,  fatta
eccezione per la tassativa deroga prevista per  "i  contratti  e  gli
incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza",  ovverosia  per
tutti i rapporti - indifferentemente di diritto privato  o  pubblico,
cosi' come affermato dal ricorrente - che a quel  momento,  peraltro,
non solo erano gia' in corso, bensi' erano anche  individuati  da  un
naturale termine di "scadenza", e non gia', quindi,  per  l'esercizio
in atto di una funzione  giurisdizionale  "togata"  e  non  onoraria,
ovverosia svolta a seguito dell'inserimento  a  pieno  titolo  in  un
plesso giurisdizionale, con la conseguente creazione di  un  rapporto
d'ufficio caratterizzato non gia'  da  una  prefissata  temporaneita'
bensi' - al contrario - da particolari garanzie di stabilita'. 
    11. Che le pregresse considerazioni valgono anche a far escludere
la fondatezza delle dedotte censure di irragionevolezza e di  lesione
dei  principi  comunitari  e  nazionali  di  tutela  della   certezza
giuridica e  dell'affidamento  dei  cittadini  e  di  buon  andamento
dell'Amministrazione, atteso che - in via generale - la previsione di
compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico  della  finanza
pubblica per i singoli  soggetti  titolari  di  pubblici  uffici  non
appare  intrinsecamente  illogica  o  negativa   ai   fini   di   una
razionalizzazione della c.d. "giungla retributiva"  che  storicamente
ha caratterizzato - secondo numerose  indagini  del  Parlamento,  del
Governo e  di  Organi  indipendenti-  un'Amministrazione  non  sempre
caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre -  dal  punto
di vista dei singoli trattamenti  retributivi  oggetto  del  presente
giudizio - all'atto dell'accettazione della  nomina  alla  Corte  dei
conti l'interessato - anche in  virtu'  delle  stesse  competenze  ed
esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta  -  era  o
ben poteva essere a conoscenza delle recenti misure di legge volte al
contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio  su  iniziativa
dello  stesso  Potere  Esecutivo  che  lo  aveva  proposto  al  nuovo
incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione  non  poteva  non
implicare la piena  consapevolezza  circa  i  prevedibili  limiti  al
proprio compenso e - dall'altro - la proposta di nomina assolutamente
fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente  suscitare
l'aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla  sorte  del
proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto  cio'  si
sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga  del  Governo  -
rispetto dalle norme dallo stesso proposte -  in  favore  di  singoli
soggetti dallo stesso individuati, suscitando profili di problematica
coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza  davanti  alla
legge sanciti dal nostro ordinamento. 
    12.   Che,   avendo   l'Amministrazione    dato    legittimamente
applicazione all'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013  alla
stregua delle pregresse considerazioni, il Collegio deve esaminare le
plurime questioni di possibile  illegittimita'  costituzionale  della
medesima  rilevante  e  delicatissima  disposizione,  sollevate   dal
ricorrente - ma deducibili d'ufficio ed in tal senso integrate  anche
da questo Collegio - per la possibile violazione degli  artt.  3,  4,
36, 38, 53, 97, 100, 101, 104, 108 e 117 della Costituzione, anche in
riferimento all'art. 6 della CEDU. 
    13. Che la rilevanza delle  indicate  questioni  di  legittimita'
costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare  dubbia
alla  luce  dell'esposizione  dei  fatti  di  causa,  atteso  che   i
provvedimenti impugnati trovano un'indefettibile base  normativa  nel
citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di modo che il
suo  eventuale   annullamento   per   illegittimita'   costituzionale
comporterebbe l'illegittimita'  derivata  degli  atti  amministrativi
impugnati con il conseguente accoglimento del ricorso che  altrimenti
- alla stregua  delle  pregresse  considerazioni  -  dovrebbe  essere
respinto, almeno per la parte di maggiore interesse e  salvo  passare
all'esame delle parimenti impugnate specifiche modalita' applicative,
fermo restando - osserva altresi' il Collegio - che la  sopraindicata
stabilita' nel tempo della nomina del ricorrente alla Corte dei conti
radicherebbe  un  suo  interesse  strumentale  anche  ai  fini  della
novazione della disciplina che seguirebbe ad una eventuale  pronuncia
additiva o interpretativa della Corte Costituzionale. 
    14. Che ben piu' complesso e'  il  vaglio  della  "non  manifesta
infondatezza" dei numerosi profili di  illegittimita'  costituzionale
sopra indicati, riservato al giudice a quo. Non  fondata  appare,  in
primo luogo, la censura di violazione dell'art. 3 Cost.  riferita  al
trattamento irragionevolmente  deteriore  e  discriminatorio  che  la
norma avrebbe riservato al ricorrente sia quanto all'applicazione  di
un tetto economico incompatibile  proprio  con  gli  stessi  percorsi
professionali e di carriera che ne avevano motivato la scelta per  la
Corte  dei  conti,  sia  quanto  alla  mancata  estensione  nei  suoi
confronti della deroga in sede di prima  applicazione  prevista  solo
per gli altri funzionari e dipendenti  al  servizio  delle  pubbliche
Amministrazioni  contrattualizzati  o  titolari  di   "incarichi"   e
"contratti" a tempo determinato (ma rinnovabili senza limiti). 
    Al riguardo il ricorrente deduce che ogni prestazione puo' essere
indifferentemente resa in regime pubblicistico o privatistico, ovvero
sulla base di un contratto individuale o  della  generale  disciplina
delle mansioni affidate al personale appartenente ad  un  determinato
ruolo senza che cio' determini una diversita' ontologica tra questa o
quelli prestazione o fra questa o quella categoria di lavoratori, ne'
a tal fine puo' fungere la differente durata  del  rapporto,  perche'
anche un contratto puo' ben essere (ed e'  normalmente)  rinnovato  a
tempo indeterminato. 
    Al contrario, considera il Collegio che la  scelta  fra  l'uno  e
l'altro regime spetta alla discrezionalita' del legislatore e non  e'
oggetto del presente giudizio, che il tetto di legge a retribuzioni e
pensioni  -come  gia'  sopra  indicato   -   trova   un'indefettibile
condizione di legittimita' costituzionale proprio nella sua  generale
applicabilita' a tutte le analoghe fattispecie poste a  carico  della
finanza pubblica e che l'esistenza di una deroga per i  contratti  in
corso, pur ontologicamente diversi  dalla  fattispecie  in  esame  in
quanto non assistiti da specifiche garanzie di  stabilita',  potrebbe
quindi - ove  cio'  fosse  oggetto  del  giudizio  -  essere  casomai
sottoposta a vaglio costituzionale  sotto  il  profilo  dell'indebita
posizione di vantaggio riservata ai beneficiari. 
    La  questione  in  esame  si  rivela  pertanto,  a  giudizio  del
Collegio, non fondata. 
    15. Che, quanto al possibile profilo di illegittimita'  dell'art.
1, comma 489,  della  legge  n.  147  del  2013  per  violazione  del
principio della tutela dell'affidamento, di cui agli artt. 3  e  117,
comma 1, della Costituzione e 6 della CEDU, il Collegio  osserva  che
la stessa giurisprudenza della Corte di  giustizia  ha  espressamente
chiarito  che  questo  principio  e'  fondamentale   nell'ordinamento
europeo: fra le altre,  la  sent.  CGUE,  14  settembre  2006,  cause
riunite C-181/04 e C-183/04, ha sancito che "i principi della  tutela
del legittimo affidamento e della certezza del  diritto  fanno  parte
dell'ordinamento  giuridico  comunitario;  pertanto   devono   essere
rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati  membri
nell'esercizio   dei   poteri   loro   conferiti   dalle    direttive
comunitarie"), mentre  sul  piano  interno  la  migliore  dottrina  e
giurisprudenza gli riconosce valenza costituzionale alla stregua  dei
principi di legalita' (art. l Cost.), e di riconoscimento e  garanzia
dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  (art.  2)  in   condizioni   di
eguaglianza davanti alla legge (artt. 3 e 97). 
    Al  riguardo,  riconosciuta  la  piena  operativita'  nel  nostro
ordinamento del principio di tutela della certezza  giuridica  e  del
legittimo affidamento, il Collegio rinvia  a  quanto  gia'  osservato
nell'esame  della  medesima  questione  quale  possibile   vizio   di
illegittimita' nell'applicazione della stessa norma. In  particolare,
il nuovo tetto economico in esame risponde agli obiettivi d'interesse
pubblico generale lasciati alla discrezionalita'  dei  singoli  Stati
quanto al contenimento, alla trasparenza  ed  alla  congruita'  della
spesa pubblica, nel quadro dei doveri di solidarieta' sociale di  cui
all'art. 2 della  Costituzione  e  dei  principi  di  buon  andamento
dell'amministrazione  di   cui   all'art.   97,   mentre   la   Corte
costituzionale ha piu' volte chiarito che, salvi i limiti in  materia
penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non  e'  in  linea  di
principio  precluso  al  legislatore  intervenire   per   mutare   la
disciplina dei rapporti di durata in corso,  anche  con  disposizioni
che modificano in senso sfavorevole situazioni  soggettive  perfette,
purche' nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex  art.
3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella  sicurezza
giuridica, che - come sopra chiarito -  non  appaiono  violati  nella
fattispecie in esame (in senso conforme, Corte cost.,  sentt.  n.  92
del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997,  n.  409
del 1995). 
    Anche la  questione  di  legittimita'  ora  esaminata  si  palesa
pertanto non fondata. 
    16. Che ugualmente non fondata - salvo quanto si dira' al  numero
successivo - e', a giudizio del Collegio, la possibile  questione  di
legittimita' per  violazione  degli  artt.  3  e  53  Cost.  riferita
all'effetto della disposizione in esame di trattenimento  forzoso  di
una parte (ampia) della remunerazione dell'attivita' lavorativa,  che
corrisponderebbe all'imposizione di  un  prelievo  fiscale  speciale,
ovvero di un prelievo di natura tributaria perche' imposto a fini  di
finanza pubblica e incidente  in  beni  materiali  dei  percossi,  ma
discriminatorio in quanto gravante solo sui  pensionati  titolari  di
incarichi  o  rapporti  di  lavoro  pubblici,  lasciando  indenne  la
posizione dei pensionati che prestino servizio alle dipendenze di  un
datore di lavoro privato o esercitino attivita' libero-professionale. 
    Infatti,  considera  il  Collegio,  le  descritte  finalita'   di
contenimento, trasparenza e razionalizzazione  della  spesa  pubblica
determinano, non  irragionevolmente,  una  progressiva  decurtazione,
disciplinata  ex   lege,   dei   possibili   ulteriori   redditi   al
raggiungimento del tetto prefissato, indifferenziatamente applicata a
tutti i compensi comunque posti  a  carico  della  finanza  pubblica,
senza che cio' possa generare, proprio  per  la  sua  trasversalita',
indebite disparita' di trattamento, divenendo quindi  non  rilevante,
ai fini del giudizio a quo,  la  sua  invocata  qualificazione  quale
imposizione fiscale, che sembra comunque doversi escludere, in quanto
la legge, in estrema sintesi, pone un "tetto" a regime all'erogazione
a chiunque di somme a titolo  retributivo  e  pensionistico  poste  a
carico della finanza pubblica, anziche' imporre un  prelievo  forzoso
sulle  somme  percepite  dal  singolo  interessato  oltre  il   tetto
prefissato. 
    17. Che a conclusioni piu' articolate si presta la  questione  di
possibile illegittimita' dell'art. 1, comma 489, della legge  n.  147
del 2013 per violazione degli artt. 3, 4, 36, 38 e 97  nonche'  dagli
artt. 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, in quanto il meccanismo
del tetto massimo degli  emolumenti  comporta  che  la  remunerazione
della  funzione  di  consigliere  della  Corte  dei   conti   risulti
fortemente ridotta o  del  tutto  azzerata,  con  una  corrispondente
decurtazione dei contributi  previdenziali  e,  di  conseguenza,  del
trattamento pensionistico derivante dall'accumulo  di  tale  montante
contributivo, con la possibile violazione del diritto al lavoro e  ad
una retribuzione "proporzionata alla quantita' e qualita'" del lavoro
prestato, potendone altresi' conseguire una disparita' di trattamento
fra  soggetti  svolgenti,  la  medesima  attivita',  una  irrazionale
organizzazione amministrativa ed un  indebolimento  delle  necessarie
garanzie di indipendenza nell'esercizio delle funzioni affidate. 
    Al riguardo  il  Collegio  ritiene  che  debba  essere  preso  in
considerazione  non  il   pur   elevatissimo   standard   qualitativo
dell'attivita' svolta da funzionari pubblici in possesso di un  grado
di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni  di
servizio alle dipendenze  dello  Stato  cariche  apicali  (avendo  di
conseguenza maturato l'elevato trattamento pensionistico "causa"  del
taglio del compenso), in quanto cio' potrebbe giustificare  anche  un
incarico "onorario", in ipotesi anche del tutto gratuito,  bensi'  la
circostanza  dello  svolgimento  continuativo,  con  lo  stabile   ed
organico inserimento nel relativo organico e con particolari garanzie
di stabilita', della funzione di Consigliere della Corte  dei  conti,
con l'assunzione da  parte  dell'interessato  di  tutte  le  connesse
prerogative e delicate e -non da oggi - rilevanti responsabilita', di
natura professionale e civile, per il proprio operato. 
    I tratti fondamentali  dell'attivita'  professionale  stabilmente
svolta dal ricorrente, a seguito della nomina alla Corte  dei  conti,
sotto la propria responsabilita' e con  pieno  inserimento  organico,
nell'ambito di una "magistratura togata" vale  dunque  a  configurare
l'esercizio di una vera e  propria  e  stabile  attivita'  lavorativa
professionale, differenziando la fattispecie in  esame  dai  numerosi
casi di svolgimento (talvolta essenzialmente  gratuito)  di  pubblici
uffici "onorari", di volta in volta  motivati  da  alte  e  peculiari
competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o da meccanismi
di  sorteggio  nell'ambito  di  platee  in  possesso  di  particolari
requisiti (come accade  per  le  giurie  popolari),  anche  ai'  fini
dell'esercizio della sovranita' popolare (come  accade  per  i  seggi
elettorali). 
    18.  Che  in  tal  modo  la  scelta  dello  Stato,  mediante   la
disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del  pieno
apporto professionale del  ricorrente  (nulla  la  norma  dicendo  al
riguardo,  salve  le  sue  eventuali  dimissioni  per   evitare,   in
applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013,  di
prestare attivita' lavorativa non retribuita o retribuita in  maniera
estremamente esigua), anziche', disciplinare normativamente l'ipotesi
in esame (ad esempio, prevedendo  la  decadenza  o  una  opzione  per
funzioni piu' limitate e retribuite in minor misura, oppure del tutto
onorarie e gratuite) ma al tempo stesso di  "di  auto-esonerarsi"  in
tutto o in parte dalla loro retribuzione (non ponendo  alcuna  deroga
al  tetto  a  tale  riguardo),  pur   avendo   esso   Stato   chiesto
all'interessato di svolgere tale prestazione lavorativa  mediante  la
proposta  di  nomina  alla  funzione  ordinariamente  retribuita)  di
Consigliere della Corte dei conti -  dichiaratamente  motivata  dalla
sua eccellenza professionale in ragione della  delicatezza  e  quindi
dell'impegno delle funzioni da svolgere -  appare  costituzionalmente
irragionevole, con la conseguente possibile violazione  dell'articolo
36, primo  comma,  della  Costituzione,  quanto  al  diritto  ad  una
retribuzione proporzionata alla quantita' (oltreche'  alla  qualita')
del  lavoro,  nonche',   indirettamente,   dell'articolo   38   della
Costituzione,  in  quanto  la  drastica   riduzione   o   addirittura
l'azzeramento  della  retribuzione  -   e   quindi   della   relativa
contribuzione  -  precludono  la  conseguente  implementazione  della
tutela assistenziale e previdenziale garantita dall'ordinamento. 
    19. Che medesime  considerazioni  conducono  a  far  ritenere  la
possibile violazione degli  articoli  3,  primo  comma,  e  97  della
Costituzione,  sotto  un  duplice  profilo  -  diverso  ed  ulteriore
rispetto a quelli esaminati ai punti precedenti - in quanto, premessa
la  determinazione  delle  sfere  di   competenza,   attribuzioni   e
responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso
ovvero di nomina governativa, la, disposizione di legge che  pone  il
tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia  nell'ambito
di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi in  tutto  o  in
parte di retribuzione a seguito del raggiungimento del  tetto,  senza
disciplinare la loro sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile  di
determinare, da un lato, una ingiustificata disparita' di trattamento
quanto alla retribuzione ovvero mancata retribuzione  della  medesima
attivita'   professionale,   e,   dall'altro,    una    irragionevole
organizzazione contraria al buon  andamento  amministrativo  mediante
l'indifferenziato affidamento,  a  titolo  oneroso  ovvero  a  titolo
parzialmente  o  del  tutto  gratuito,  di  funzioni  di   dichiarata
rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che  anche  la  retribuzione
dei funzionari pubblici deve rispondere - alla stregua del  Trattato,
della  Convenzione  europea  e  degli  articoli   36   e   97   della
Costituzione,  ad  un   rapporto   sinallagmatico   ("proporzionato")
riguardo alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto,  non  potendo
quindi essere considerati  fungibili  trattamento  pensionistico  per
un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in  atto,  ove
consentita  nell'ambito  dei  diritti  di  liberta'  garantiti  dalla
Costituzione. 
    20. Che a giudizio del Collegio sembra potersi parimenti  dedurre
la violazione dagli artt. 100,  101,  104  e  108  Cost.,  quanto  al
possibile  vulnus  allo  status  di  indipendenza  ed  autonomia  dei
magistrati,  protetto  dalle  predette  disposizioni  costituzionali.
Infatti, la Corte costituzionale, nel decidere questioni  concernenti
norme  aventi  ad   oggetto   la   retribuzione   e   la   disciplina
dell'adeguamento  retributivo  dei  magistrati,  ha   affermato   che
l'indipendenza  degli  organi  giurisdizionali  si   realizza   anche
mediante l'apprestamento di garanzie circa lo status  dei  componenti
concernenti,  fra  l'altro,  la  progressione  in  carriera   ed   il
trattamento economico (cosi', fra le altre, sentenza n. 1  del  1978)
che, in un assetto costituzionale dei poteri dello Stato che vede  la
magistratura  come  ordine  autonomo  ed  indipendente,  non  possono
esaurirsi in un mero rapporto di lavoro, in cui il  contraente-datore
di lavoro possa  al  contempo  essere  parte  e  regolatore  di  tale
rapporto (Corte cost., sent. n. 223 del 2012). 
    21. Che l'accertata rilevanza e non manifesta infondatezza  della
predetta questione incidentale  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 1, comma 489, della legge n. 147  del  2013  nei  termini
sopra evidenziati determina la necessita' di rimettere  gli  atti  di
causa alla Corte Costituzionale sospendendo il presente giudizio fino
alla sua decisione, ed esime il Collegio, allo stato,  dal  procedere
all'esame delle ulteriori censure sopra individuate, che, riguardando
le modalita' applicative della norma quanto alla  individuazione  del
"tetto" ed alle sue conseguenze sul piano contributivo-previdenziale,
risponderanno ad un interesse attuale del ricorrente solo ove risulti
possibile applicare legittimamente la disposizione sopraindicata alle
fattispecie oggetto del presente giudizio.